Società di capitali: tassazione degli utili di fonte estera – Articolo 89 del T.U.I.R., modificato dal D.Lgs. 142/2018

L’ Articolo 89 del T.U.I.R., in vigore dal 12/01/2019 (come modificato dal Decreto legislativo del 29/11/2018 n. 142 Articolo 5), al riguardo della tassazione degli utili provenienti dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato e percepiti da società di capitali recita:

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2. Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione, anche nei casi di cui all’articolo 47, comma 7, dalle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare. …………………..

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3. Verificandosi la condizione dell’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo, l’esclusione del comma 2 si applica agli utili provenienti da soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d),………………., se diversi da quelli residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1), o, se ivi residenti o localizzati, sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nel medesimo articolo, comma 2, lettera b). Gli utili provenienti dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1, …………………. non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito dell’impresa o dell’ente ricevente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrata, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui all’articolo 47-bis, comma 3, la sussistenza della condizione di cui al comma 2, lettera a), del medesimo articolo; in tal caso, e’ riconosciuto al soggetto controllante, ai sensi del comma 2 dell’articolo 167, residente nel territorio dello Stato, ovvero alle sue controllate residenti percipienti gli utili, un credito d’imposta ai sensi dell’articolo 165 in ragione delle imposte assolte dall’impresa o ente partecipato sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili. Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta, l’ammontare del credito d’imposta di cui al periodo precedente e’ computato in aumento del reddito complessivo. . ……………………….

Il comma 2 dell’articolo 89, del T.U.I.R., riferendosi agli “utili distribuiti” prevede, ai fini IRES, l’imposizione per cassa dei dividendi rivenienti dalle  società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) e d) .

Sempre il comma 2  prevede che essi concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti solo per il 5%, in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95% del loro ammontare.

Ai sensi del comma 3,  verificandosi la condizione dell’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo,  l’esclusione da tassazione nella misura del 95%, si applica agli utili provenienti dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato, solo se:

  • diversi da quelli residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1)
  • o, se ivi residenti o localizzati, sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nel medesimo articolo, comma 2, lettera b).

La locuzione “provenienti” riconduce a tassazione integrale anche gli utili percepiti dal soggetto residente indirettamente tramite una o più sub-holding intermedie, sostanzialmente interposte.

Il regime di tassazione integrale è applicabile, quindi, non solo agli utili distribuiti direttamente dai soggetti residenti nei Paesi a fiscalità privilegiata ma anche a quelli generati nei Paesi a fiscalità privilegiata che giungono alla società residente in Italia tramite una o più società intermedie, qualificabili come conduit companies.

Il comma 1 dell’articolo 47-bis, esclude dai regimi fiscali privilegiati gli Stati o territori appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni.

Ragion per cui agli utili provenienti  dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti in Stati o territori appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni,  si applica l’esclusione da tassazione nella misura del 95% (prevista dall’articolo 89, comma 2, del T.U.I.R.).

Nei rimanenti casi occorrerà verificare se gli utili provengano da   società e enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti o localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1).

Quindi, ai sensi del primo comma del 47-bis del T.U.I.R., si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, 

  • nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove si verifichi la condizione di cui al comma 4, lettera a), del medesimo articolo 167, cioè che i soggetti controllati non residenti siano assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla meta’ di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia (Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono indicati i criteri per effettuare, con modalità semplificate, la verifica della presente condizione, tra i quali quello dell’irrilevanza delle variazioni non permanenti della base imponibile)
  • in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia.  A tali fini, tuttavia, si tiene conto anche di regimi speciali che non siano applicabili strutturalmente alla generalita’ dei soggetti svolgenti analoga attivita’ dell’impresa o dell’ente partecipato, che risultino fruibili soltanto in funzione delle specifiche caratteristiche soggettive o temporali del beneficiario e che, pur non incidendo direttamente sull’aliquota, prevedano esenzioni o altre riduzioni della base imponibile idonee a ridurre il prelievo nominale al di sotto del predetto limite e sempreche’, nel caso in cui il regime speciale riguardi solo particolari aspetti dell’attivita’ economica complessivamente svolta dal soggetto estero, l’attivita’ ricompresa nell’ambito di applicazione del regime speciale risulti prevalente, in termini di ricavi ordinari, rispetto alle altre attivita’ svolte dal citato soggetto.

Ove gli utili provengano da   società e enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1),  l’esclusione da tassazione nella misura del 95% (prevista dall’articolo 89, comma 2, del T.U.I.R.), si applicherà se sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nel medesimo articolo, comma 2, lettera b), cioè sia dimostrato che dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al comma 1 del 47-bis.

Gli utili provenienti da   società e enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1) non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito dell’impresa o dell’ente ricevente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrata, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui all’articolo 47-bis, comma 3, la sussistenza della condizione di cui al comma 2, lettera a), del medesimo articolo, cioè che il soggetto non residente svolga un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali.

in tal caso, e’ riconosciuto al soggetto controllante, ai sensi del comma 2 dell’articolo 167, residente nel territorio dello Stato, ovvero alle sue controllate residenti percipienti gli utili, un credito d’imposta ai sensi dell’articolo 165 in ragione delle imposte assolte dall’impresa o ente partecipato sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili. Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta, l’ammontare del credito d’imposta di cui al periodo precedente e’ computato in aumento del reddito complessivo.

Quindi in sintesi agli utili provenienti  dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica

    • residenti in Stati o territori appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni,  si applica l’esclusione da tassazione nella misura del 95%
    • residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1)
      • l’esclusione da tassazione nella misura del 95%  si applicherà se sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione,  che dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (condizione di cui all’articolo 47-bis, comma 2, lettera b))
      • non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito dell’impresa o dell’ente ricevente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui all’articolo 47-bis, comma 3,  che il soggetto non residente svolga un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali (condizione di cui all’articolo 47-bis, comma 2, lettera a)).
      • in mancanza del rispetto delle condizioni contemplate dalle lettere a) e b) del comma 2 dell’articolo 47-bis gli utili provenienti da soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d),  residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1, concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti  per il 100%;

Gli utili in esame concorrono a formare il reddito complessivo come componenti del reddito d’impresa.

Ai fini della dichiarazione dei redditi, nel Modello Redditi Società di Capitali,  ai fini dell’esclusione di cui al secondo comma dell’art. 89, vanno considerati nelle poste del reddito d’impresa del Quadro RF tra le voci variazioni in diminuzione.

Per quanto attiene l’aspetto dichiarativo nel Modello Società di Capitali , Redditi 2018, degli utili derivanti dalla partecipazione in società estere, gli artt. del TUIR presi in considerazione sono nella formulazione anteriore all’entrata in vigore (periodo d’imposta successivo al 31/12/2018) del D.Lgs. 29/11/2018 n.142.

Nel quadro RF, dedicato alla determinazione del reddito d’impresa, tra le variazioni in diminuzione, al rigo RF47, colonna 3, vanno indicati gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti di cui all’art. 73, comma 1, lettera d), del TUIR, esclusi da tassazione, ai sensi dell’art. 89 del TUIR.

Nel quadro RF, dedicato alla determinazione del reddito d’impresa, tra le variazioni in diminuzione, al rigo RF47, colonna 3, va indicato il 95 per cento dell’importo percepito nel periodo d’imposta. l’imposta estera  può essere detratta dall’IRES per un ammontare pari al 5% del totale. Per la determinazione del Credito d’Imposta vedi il Quadro CE, il risultato del Rigo CE 26 va riportato nel Quadro RN al rigo RN 13.

Al riguardo della  determinazione del Credito d’Imposta, l’art. 165, comma 10, del TUIR stabilisce che se un reddito estero concorre solo parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera deve essere ridotta in misura corrispondente.

Di conseguenza, l’imposta estera in caso di utili di fonte estera può essere detratta dall’IRES per un ammontare pari al 5% del totale in caso di utili tassati in misura ridotta.

Abbiamo visto che, sempre ai sensi del terzo comma dell’art. 89 del TUIR, gli utili provenienti dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato , a condizione che sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello, l’effettivo svolgimento, da parte del soggetto non residente, di un’attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento, nel quadro RF, dedicato alla determinazione del reddito d’impresa, tra le variazioni in diminuzione, al rigo RF47, colonna 3, va indicato il 50 per cento dell’importo percepito nel periodo d’imposta e tale importo va indicato anche in colonna 2. in tal caso, è riconosciuto al soggetto controllante residente nel territorio dello Stato, ovvero alle sue controllate residenti percipienti gli utili, un credito d’imposta ai sensi dell’articolo 165 in ragione delle imposte assolte dalla società partecipata sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili. Ai soli fini dell’applicazione dell’imposta, l’ammontare del credito d’imposta di cui al periodo precedente è computato in aumento del reddito complessivo.  Per la determinazione del Credito d’Imposta vedi il Quadro CE, il risultato del Rigo CE 26 va riportato nel Quadro RN al rigo RN 13.

(1) Art, 47 bis, comma 1, del T.U.I.R.:

1. I regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati:

a) nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove si verifichi la condizione di cui al comma 4, lettera a), del medesimo articolo 167

b) in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia. A tali fini, tuttavia, si tiene conto anche di regimi speciali che non siano applicabili strutturalmente alla generalita’ dei soggetti svolgenti analoga attivita’ dell’impresa o dell’ente partecipato, che risultino fruibili soltanto in funzione delle specifiche caratteristiche soggettive o temporali del beneficiario e che, pur non incidendo direttamente sull’aliquota, prevedano esenzioni o altre riduzioni della base imponibile idonee a ridurre il prelievo nominale al di sotto del predetto limite e sempreche’, nel caso in cui il regime speciale riguardi solo particolari aspetti dell’attivita’ economica complessivamente svolta dal soggetto estero, l’attivita’ ricompresa nell’ambito di applicazione del regime speciale risulti prevalente, in termini di ricavi ordinari, rispetto alle altre attivita’ svolte dal citato soggetto.

L’Esterovestizione

Con il termine esterovestizione (foreign dressed companies) si intede indicare una società o un gruppo societario che utilizzando tecniche di pianficazione fiscale internazionale, costituisce società o stabili organizzazioni all’estero. Generalmente in Stati a più basso livello di tassazione, al fine di evadere le imposte nello Stato in cui sono residenti.

Quindi in caso di esterovestizione siamo in presenza ad un fenomeno di evasione fiscale.

Ai sensi dell’articolo 73, comma 3, Tuir una società di capitali è considerata fiscalmente residente in Italia quando per la maggior parte del periodo d’imposta (183 gg.) ha mantenuto

  • la sede legale
  • o la sede dell’amministrazione
  • o l’oggetto principale

nel territorio dello Stato.

Come si vede, tali criteri  sono fra loro alternativi, è sufficiente il realizzarsi di uno solo di essi affinché la società o l’ente vengano sottoposti a tassazione in Italia, in base del noto principio della tassazione su base mondiale dei redditi (c.d. worldwide principle,  principio che l’Italia, così come la maggior parte dei Paesi occidentali, ha adottato nel proprio diritto tributario).

L’Amministrazione finanziaria italiana applica il principio secondo il quale i redditi del soggetto residente sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano indipendentemente dal luogo ove tali redditi sono stati prodotti.

Ai fini dell’esterovestizione, le disposizioni dettate per le società dall’art. 73 T.U.I.R. attribuiscono particolare rilevanza non solo al dato formale della sede legale della società, situata in Italia, ma anche a quelli sostanziali, relativi

  • all’ubicazione nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione
  • od allo svolgimento, in Italia, dell’oggetto principale dell’impresa.

Per quanto attiene l’oggetto principale dell’impresa si devono considerare i commi 4 e 5 dell’art. 73 del T.U.I.R.:

4. L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente e’ determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività’ essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto.

5. In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente e’ determinato in base all’attività’ effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti. 

Per quanto attiene all’ubicazione nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione occorrerà fare riferimento alla situazione di fatto e individuare il luogo dove effettivamente gli amministratori della società esercitano l’attività amministrativa in modo stabile.

L’articolo 4, paragrafo 3 (1, modello di Convenzione OCSE (2017 update), per evitare fenomeni di doppia imposizione, prevede che, nell’ipotesi in cui una società sia considerata residente in due diversi Stati, la residenza fiscale della persona giuridica sarà individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto:

  • del luogo di direzione effettiva (place of effective management);
  • del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted);
  • di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).

L’Italia, formulando specifiche osservazioni all’articolo 4, paragrafo 3, del modello Ocse di Convenzione (Commentaries on the articles of the Model of Tax Convention), Observations on the Commentary (2), ha introdotto una particolare riserva per effetto della quale, nel determinare la residenza fiscale di una società, oltre alla “sede della direzione effettiva”, dovrà essere attribuita estrema rilevanza anche al luogo nel quale viene svolta l’attività principale dell’impresa.

In base a quanto previsto dall’articolo 4, paragrafo 3, del Modello OCSE (3. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da un individuo è residente di entrambi gli Stati contraenti, si considera residente solo del Stato in cui si trova la sua sede di direzione effettiva) e dalla sentenza n. 136/1998 della Corte di cassazione, la sede effettiva della società deve considerarsi:

il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali”.

Quindi, posto che il criterio della sede legale ha natura prettamente formale per stabilire se una società estera è fiscalmente residente in Italia, occorre analizzare, da un punto di vista sostanziale, i criteri di collegamento con il territorio dello Stato:

  • sede dell’amministrazione
  • e oggetto principale.

L’onere della prova grava sull’Amministrazione finanziaria che, nell’ambito della propria attività ispettiva, dovrà dimostrare che la società è fittiziamente estera.

Anche sulla base del consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per individuare la residenza fiscale di una società o di un ente estero, occorre fare riferimento al criterio della “sede effettiva”.

La sede dell’amministrazione, contrapposta alla sede legale, coincide con la “sede effettiva” dell’impresa estera, intesa come il luogo dove:

  • hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente;
  • si convocano le assemblee.

La sede effettiva può essere definita come quel luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente, il luogo ove si concretizzano gli atti produttivi e negoziali dell’ente, nonché i rapporti economici che il medesimo intrattiene con i terzi.

Per determinare il luogo della sede dell’attività economica di una società occorre prendere in considerazione un complesso di fattori:

  •  la sede statutaria;
  • il luogo dell’amministrazione centrale;
  •  il luogo di riunione dei dirigenti societari;
  • il luogo in cui si adotta la politica generale di tale società.

Possono rilevare anche altri elementi:

  •  il luogo di riunione delle assemblee generali;
  • di tenuta dei documenti amministrativi e contabili;
  • di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie e bancarie.

La quinta Sez. Civile della Corte di cassazione,con la sentenza n. 14527/2019 del 28.05.2019 , si è espressa proprio su un caso di esterovestizione societaria, con riferimento all’importanza del luogo ove vengono formalizzate le delibere assembleari e societarie, si è pronunciata affermando che l’effettiva amministrazione di una società si svolgeva nello stato estero ove avevano luogo i consigli di amministrazione e le assemblee dei soci e dove la società aveva la materiale disponibilità dei locali necessari ai fini dello svolgimento delle attività di amministrazione e gestione

Ma, per una disamina completa del fenomeno dell’esterovestizione non si può prescindere da un’attenta lettura dei commi 5-bis e 5-ter dell’art. 73 del T.U.I.R. introdotti dal  D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella l. 4.8.2006, n. 248.

5-bis. Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

5-ter. Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’articolo 5, comma 5.

Il comma 5-bis con la dicitura “salvo prova contraria” introduce una sostanziale inversione dell’onere della prova sulla esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione di società estere il cui controllo risulti riconducibile, anche in via indiretta, a soggetti italiani.

Quindi , in sintesi, ai sensi del comma 5-bis la società estera si considera, salvo prova contraria, “esterovestita” se, in alternativa, siamo in presenza di una delle seguenti fattispecie:

  • è controllata, anche indirettamente da soggetti residenti in Italia;
  • è  amministrata da soggetti residenti residenti in Italia.

Il comma 5-bis ha introdotto una presunzione relativa che il contribuente può superare, dimostrando che si tratti di una collocazione sostanziale e non puramente formale.

Dovrà essere il contribuente a portare prove a proprio favore per dimostrare l’effettiva attività svolta all’estero.

l’Agenzia delle entrate, con la circolare 28/E/2006, punto 8 (3), tratta delle norme introdotte  dal D.L. 223/2006.

La circolare ha precisato che in applicazione della norma in oggetto, il soggetto estero si considera, ad ogni effetto, residente nel territorio dello Stato e quindi soggetto a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che l’ordinamento prevede per le società e gli enti residenti

Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con
argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all’estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od
atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.

Ad esempio, sotto il profilo sostanziale, dovrà essere provato  che:

  • Gli insediamenti produttivi/commerciali all’estero sono effettivi ed esistono delle ragioni imprenditoriali sottese agli stessi;
  • Esiste autonomia gestionale dei soggetti preposti all’attività di impresa all’estero (c.d. country manager).

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43809/2015, relativa alla contestazione di esterovestizione di una struttura societaria di gruppo collocata in Lussemburgo titolare di alcuni marchi ha  sottolineato tre concetti:

  • la costruzione di puro artificio;
  • la finalità prevalente di elusione;
  • la libertà di scelta fra carichi fiscali diversi,

evidenziando il principio in base secondo il quale se non sussiste costruzione artificiosa non può esistere abuso.

Secondo i Giudici di legittimità nel caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, c.c., per stabilire ove è posta la sede amministrativa della società, entra in gioco il concetto della direzione e coordinamento.

La sede di direzione effettiva non può essere individuata semplicemente con il luogo da cui partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative laddove esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana, a tal fine bisognerà invece appurare che la società estera non sia una costruzione di puro artificio, ma corrisponde ad un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità all’atto costitutivo o allo statuto.

Per stabilire, dunque, la natura artificiosa o meno della società estera si potrà fare riferimento ai criteri indicati a livello interno dall’articolo 162 del DPR n. 917/86.

Infatti, se un ufficio ha i connotati per configurare una stabile organizzazione esso potrà essere valutato anche come luogo di effettivo esercizio di attività di impresa. Ciò in quanto il giudice non può adottare una interpretazione che vada a limitare la libertà di stabilimento, in quanto nel principio costituzionale che la disciplina l’imprenditore può decidere di collocare le proprie strutture dove meglio ritiene e dotarle secondo le proprie insindacabili valutazioni.

Occorrerà solo valutare se l’ufficio corrisponde ad una costruzione di puro artificio volta a lucrare benefici fiscali oppure no.

Secondo i supremi giudici il vantaggio fiscale è indebito non perché l’imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fiscale, ma lo è solo se è ottenuto mediante costruzioni non aderenti alla realtà.

In conclusione, quindi, il contribuente in sede contenziosa potrà far valere il principio secondo cui, in ipotesi di controllo ex articolo 2359 c.c., l’esterovestizione non dipende da impulsi gestionali o direttive amministrative impartite dalla controllante italiana alla controllata estera, ma dal fatto che quest’ultima non sia una costruzione di puro artificio.

In tal senso il contribuente potrà fare riferimento alla semplice nozione di stabile organizzazione contenuta nell’articolo 162 del DPR n. 917/86.

Altro aspetto da considerare è la rilevanza IVA dell’esterovestizione. L’art. 4 DPR 633/1972 prevede che tutte le attività imprenditoriali svolte in Italia sono ivi assoggettate ad imposizione.

Sulla base della normativa attualmente vigente si può ipotizzare che tutte le operazioni che la potenziale esterovestita ha posto in essere invece di essere ipotetiche operazioni intracomunitarie o territorialmente non rilevanti siano da sottoporre ad IVA in Italia.

Ne consegue che tutte le suddette operazioni potrebbero essere ricondotte a cessioni e/o prestazioni nazionali soggette ad IVA, con il corollario di conseguenti sanzioni amministrative e penali.

Vanno  attentamente valutate le eventuali conseguenze, sotto il profilo penale tributario, che l’estorovestizione comporta e se si è in presenza di un’evasione fiscale internazionale o di una  mera elusione fiscale.

Tale aspetto assume particolare evidenza nella considerazione che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, restando possibile solo l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.

Ai sensi dell’articolo 10-bis L. 212/2000configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.

Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi fiscali determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

Nella maggior parte dei casi la fattispecie penalmente rilevante nei casi in cui venga accertata l’esistenza di una società esterovestita è il delitto di omessa presentazione in Italia delle dichiarazioni fiscali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (4.

In sintesi, quando l’impresa ha sede all’estero, ma la maggior parte dell’attività si svolge in Italia, in presenza di una fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale, con, di fatto, attività svolta in italia, la dichiarazione dei redditi va fatta in Italia, altrimenti, al superamento del limite  di cui al comma 1 dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 74/2000 si configura il reato di evasione fiscale.

(1)  3. Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an individual is a resident of both Contracting States, then it shall be deemed to be a resident only of the State in which its place of effective management is situated. the competent authorities of the Contracting States shall endeavour to determine by mutual agreement the Contracting State of which such person shall be deemed to be a resident for the purposes of the Convention, having regard to its place of effective management, the place where it is incorporated or otherwise constituted and any other relevant factors.

(225. As regards paragraphs 24 and 24.1, Italy holds the view that the place where the main and substantial activity of the entity is carried on is also to be taken into account when determining the place of effective management of a person other than an individual.

(3(…….. Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato individuati dalla norma sono astrattamente idonei a sorreggere la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione delle società in esame. Si tratta, infatti, di elementi già valorizzati nella esperienza interpretativa e applicativa, sia a livello internazionale che nazionale. Essi si ispirano sia a criteri
di individuazione dell’effective place of management and control elaborati in sede OCSE, sia ad alcuni indirizzi giurisprudenziali.
La norma prevede, in definitiva, l’inversione, a carico del contribuente, dell’onere della prova, dotando l’ordinamento di uno strumento che solleva l’amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede della amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi. In tale ottica la norma persegue
l’obiettivo di migliorare l’efficacia dell’azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle società. In particolare, essa intende porre un freno al fenomeno delle cosiddette esterovestizioni, consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appartenenza; a tal fine la norma valorizza gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità al principio della “substance over form” utilizzato in campo internazionale.

…………………

8.3 Prova contraria
Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con
argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all’estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od
atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.

…………………)

(4Articolo 5 D.Lgs. n. 74/2000 – Omessa dichiarazione.

  1. E’ punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro trentamila.
  2.  Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

Esterometro, prima scadenza 30 aprile 2019

A partire dalle fatture emesse o registrate dal 1° gennaio 2019, è stata introdotta una nuova comunicazione (mensile) delle fatture relative ad operazioni transfrontaliere, il cosiddetto “Esterometro”, con cui si trasmetteranno i dati delle operazioni effettuate da e verso operatori esteri soggetti residenti in UE ed extra UE. 

L’art. 1, comma 3 -bis , del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, inserito dall’art. 1, comma 909, lettera a) , n. 4, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, ha disposto che a decorrere dal 1° gennaio 2019: «i soggetti passivi di cui al comma 3 trasmettono telematicamente all’agenzia delle entrate i dati relativi alle operazioni di cessione dei beni e di prestazioni di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, salvo quelle per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche secondo le modalità indicate nel comma 3. La trasmissione telematica è effettuata entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello della data del documento emesso ovvero a quello della data di ricezione del documento comprovante l’operazione»;

I soggetti obbligati sono quelli residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato direttamente o per mezzo di rappresentante fiscale.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del  27 febbraio 2019, art. 1, comma 2,  ha prorogato al 30 aprile 2019 l’invio dell’esterometro relativo ai mesi di gennaio e febbraio 2019 (I dati di cui all’art. 1, comma 3 -bis , del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, relativi alle operazioni dei mesi di gennaio e febbraio 2019 sono trasmessi all’Agenzia delle entrate entro il 30 aprile 2019)Quindi il 30 aprile devono essere trasmessi sia gli esterometri riferiti ai mesi di gennaio e febbraio, sia quello di marzo.

Con l’esterometro gli operatori Iva residenti, comunicano le operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato.

L’esterometro sarà facoltativo per chi emetterà una bolletta doganale (per le importazioni) e per le operazioni per le quali saranno emesse o ricevute fatture elettroniche tramite lo SDI (Sistema di Interscambio), a propri clienti o da propri fornitori, che siano soggetti non residenti o non stabiliti in Italia o soggetti non residenti ma identificati in Italia.

Sono incluse nell’obbligo dell’invio Esterometro:

  • le fatture emesse verso soggetti comunitari non stabiliti anche se identificati ai fini IVA in Italia, per i quali non è stata emessa fattura elettronica tramite SdI;
  • le fatture ricevute da soggetti comunitari non stabiliti;
  • le fatture emesse per servizi generici verso soggetti extracomunitari per cui non è stata emessa la fattura elettronica e per le quali non c’è una bolletta doganale;
  • le autofatture per servizi ricevuti da soggetti extracomunitari;
  • le autofatture per acquisti di beni provenienti da magazzini italiani di fornitori extraUe.

L’obbligo di certificare le operazioni con fattura elettronica, riguarda solamente quelle intercorse tra soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, le operazioni con controparti non residenti (escluse dall’obbligo della fattura elettronica) devono essere comunicate mensilmente all’Amministrazione Finanziaria tramite l’esterometro.

In particolare un soggetto passivo estero può identificarsi in Italia, direttamente o mediante la nomina di un rappresentante fiscale.

In merito, l’Agenzia delle Entrate ha di recente precisato che per le operazioni effettuate da soggetti passivi Iva nazionali nei confronti di soggetti non residenti, ma identificati in Italia, è possibile emettere una fattura “tradizionale” e quindi inserirla nell’esterometro, oppure emettere (facoltativamente) una fattura elettronica (inserendo il valore “0000000” nel campo Codice destinatario, salvo che il cliente non abbia comunicato alla controparte la PEC o il codice destinatario), evitando per tale operazione la comunicazione mensile.

In definitiva per i soggetti non residenti nel territorio dello Stato, ma ivi identificati tramite rappresentante fiscale, non si acquisisce la qualifica di soggetti stabiliti in Italia (né tantomeno quella di residente), con la conseguenza che l’operazione effettuata nei confronti di tali soggetti, non confluisce nell’obbligo di emissione della fattura elettronica che comunque rimane facoltativa.

Con l’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria, è prevista l’eliminazione dello spesometro ovvero della comunicazione di tutte le fatture attive e passive e delle bolle doganali.

L’ultimo appuntamento con la suddetta comunicazione è stato il 28 febbraio 2019 data entro la quale è stata effettuata la comunicazione relativa al secondo semestre 2018.

Nella nuova comunicazione occorre indicare anche le fatture emesse o ricevute da soggetti esteri non stabiliti, ma solo identificati direttamente nel territorio dello Stato oppure con rappresentante fiscale.

Occorre indicare nell’esterometro l’acquisto di merce che si trova in Italia con fattura ricevuta:

  • da fornitore comunitario (integrazione della fattura senza Intrastat);
  • da fornitore extracomunitario (autofattura).

Come detto, è possibile inoltre non comunicare l’operazione nell’esterometro se viene emessa fattura elettronica con indicazione, tra i dati anagrafici del cessionario, del Codice Destinatario “0000000” (esclusivamente per i dati delle fatture emesse).

Le operazioni da comunicare con l’esterometro, come specificato dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 30 aprile 2018, punto 9 (1), riguardano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato.

Con l’adempimento si dovranno trasmettere le seguenti informazioni:

  • i dati identificativi del cedente/prestatore;
  • i dati identificativi del cessionario/committente;
  • la data del documento comprovante l’operazione;
  • la data di registrazione (per i soli documenti ricevuti e le relative note di variazione);
  • il numero del documento;
  • la base imponibile;
  • l’aliquota Iva applicata e l’imposta ovvero, ove l’operazione non comporti l’annotazione dell’imposta nel documento, la tipologia dell’operazione.

La comunicazione dei dati si effettuerà predisponendo un file XML, e affinché questo sia accettato dall’Agenzia delle Entrate, il responsabile della trasmissione (soggetto obbligato o delegato) deve apporre una firma elettronica oppure, solo in caso di invio del file tramite l’interfaccia “Fatture e Corrispettivi”,  è necessario il sigillo elettronico dell’Agenzia delle Entrate.

Per l’omissione o l’errata trasmissione dei dati è prevista la sanzione amministrativa di due euro per ciascuna fattura, comunque entro il limite massimo di 1.000 euro per ciascun trimestre. La sanzione è ridotta alla metà, entro il limite massimo di 500 euro, se la trasmissione è effettuata nei 15 giorni successivi alla scadenza, o se nello stesso termine viene effettuata la trasmissione corretta dei dati.

Con la risposta n. 8 del 7 febbraio 2019 alla richiesta di consulenza giuridica relativa all’esterometro, l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti su alcune delle operazioni escluse dall’obbligo di comunicazione.

Secondo quando richiamato dall’Agenzia delle Entrate e sulla base dei principi stabiliti dalla normativa sopra analizzata, le operazioni tax free shopping e le relative fatture emesse tramite il sistema Otello sono escluse dall’esterometro.

L’Agenzia delle entrate, con la risposta n. 85/2019,pubblicata il 27 marzo 2019, ha chiarito che tutti i soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato hanno l’obbligo di trasmettere “telematicamente all’Agenzia delle entrate i dati relativi alle operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, salvo quelle per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche secondo le modalità indicate nel comma 3”. A differenza del modello Intrastat previsto per i soggetti passivi IVA italiani che effettuano scambi di beni comunitari e/o di servizi generici con altri soggetti passivi IVA di altri Stati comunitari, l’esterometro riguarda tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, senza ulteriori limitazioni. Infatti, ai fini di tale adempimento, è rilevante solo la circostanza che il soggetto non sia stabilito in Italia (indipendentemente dalla natura dello stesso) e non è significativo il fatto che l’operazione sia o meno rilevante IVA nel territorio nazionale. Pertanto, la comunicazione andrà effettuata dai soggetti passivi d’imposta italiani anche con riferimento alle prestazioni ricevute da operatore economico estero non soggetto passivo IVA.

(1Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 30 aprile 2018 (come modificato dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 21 dicembre 2018)

9. Trasmissione telematica dei dati delle operazioni transfrontaliere

9.1 Con riferimento alle operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, gli operatori IVA residenti trasmettono le seguenti informazioni secondo il tracciato e le regole di compilazione previste dalle specifiche tecniche allegate al presente provvedimento: i dati identificativi del cedente/prestatore, i dati identificativi del cessionario/committente, la data del documento comprovante l’operazione, la data di registrazione (per i soli documenti ricevuti e le relative note di variazione), il numero del documento, la base imponibile, l’aliquota IVA applicata e l’imposta ovvero, ove l’operazione non comporti l’annotazione dell’imposta nel documento, la tipologia dell’operazione.

9.2 La comunicazione di cui al precedente punto 9.1 è facoltativa per tutte le operazioni per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche secondo le regole stabilite nei punti precedenti.

9.3 La trasmissione telematica è effettuata entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello della data del documento emesso ovvero a quello della data di ricezione del documento comprovante l’operazione. Per data di ricezione si intende la data di registrazione dell’operazione ai fini della liquidazione dell’IVA.

9.4 Per le sole fatture emesse, le comunicazioni di cui al punto 9.1 possono essere eseguite trasmettendo al sistema dell’Agenzia delle entrate l’intera fattura emessa, in un file nel formato stabilito al punto 1.3 e compilando solo il campo “CodiceDestinatario” con un codice convenzionale indicato nelle specifiche tecniche allegate al presente provvedimento

Depositi IVA – articolo 50-bis del DL 331/93

L’ articolo 50-bis del DL 331/93 disciplina, ai fini dell’IVA, speciali depositi fiscali (i c.d. depositi IVA), spazi fisici situati all’interno del territorio italiano, utilizzabili per la custodia di beni  (che non siano destinati alla vendita al minuto nei locali dei depositi medesimi), in cui questi beni vengono immessi in un regime sospensivo d’imposta, fino al momento della loro estrazione.

Sono abilitate a gestire tali depositi le imprese esercenti magazzini generali munite di autorizzazione doganale, quelle esercenti depositi franchi e quelle operanti nei punti franchi.

Il ricorso al deposito IVA ha come obiettivo differire il pagamento dell’IVA: l’assolvimento dell’imposta si ha nel momento in cui i beni vengono estratti dal deposito consentendo di ridurre il ricorso al mercato del credito e più in generale gli oneri finanziari che possono gravare sull’azienda.

Ai sensi del citato articolo 50–bis nei depositi IVA possono essere custoditi:

  • beni nazionali oggetto di cessioni intracomunitarie;
  • beni nazionali elencati nella tabella A-bis allegata al DL331/93 (stagno, rame, zinco, nichel, alluminio, piombo, cereali, semi e frutti oleosi, lana, olive, gomma in forme primarie, caffè non torrefatto, tè, cacao, zucchero greggio, patate, argento, platino, grassi e oli vegetali….);
  • beni provenienti da altro Stato UE;
  • beni provenienti da Stati extra UE “immessi in libera pratica” (tramite pagamento dell’eventuale dazio con emissione del documento doganale DAU).

L’art. 4, comma 7,del D.L. 193/2016  è intervenuto sul regime di cui all’articolo 50-bis del DL 331/93 apportando modifiche  a decorrere dal 01 aprile 2017:

  • <u (diversamente dal precedente regime che limitava questa circostanza alle sole cessioni intra UE ed a a quelle di cui alla tabella A-bis);
  • E’ effettuata, senza pagamento dell’imposta, l’estrazione da parte di soggetti Esportatori Abituali che decidono di avvalersi del plafond disponibile, nel qual caso la dichiarazione d’intento va trasmessa all’Agenzia delle Entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica;
  • L’introduzione in deposito di beni oggetto di acquisto intra UE è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione (articolo 50-bis del DL 331/93, comma 6 ….. il soggetto che procede all’estrazione assolve l’imposta provvedendo alla integrazione della relativa fattura, con la indicazione dei servizi eventualmente resi e dell’imposta, ed alla annotazione della variazione in aumento nel registro di cui all’articolo 23 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 entro quindici giorni dall’estrazione e con riferimento alla relativa data; la variazione deve, altresì, essere annotata nel registro di cui all’articolo 25 del medesimo decreto entro il mese successivo a quello dell’estrazione…..);
  • L’imposta è dovuta nelle ipotesi di estrazione di beni da deposito IVA ai fini della loro utilizzazione o commercializzazione nello Stato;
  • In tutti i rimanenti casi l’imposta è dovuta dal soggetto che procede alla estrazione ed in suo nome e per suo conto è versata dal gestore del deposito, (inversione contabile), che è responsabile in solido per il pagamento dell’imposta. Il versamento deve essere eseguito con Mod. F24 entro il sedicesimo giorno, riferito al mese successivo alla data di estrazione. E’ esclusa la compensazione. Il soggetto che estrae deve annotare, nel registro acquisti l’autofattura emessa ed i dati della ricevuta del versamento effettuato dal gestore;
  • L’imposta è altresì dovuta dai soggetti (cessionari o committenti di soggetti non residenti nel territorio UE) che procedono all’estrazione di beni extra UE immessi in libera pratica, previa prestazione di idonea garanzia, secondo modalità e nei casi definiti dal D.M. 23 febbraio 2017.

Il D.M. 23 febbraio 2017 definisce i contenuti, le modalità ed i casi di prestazione della garanzia prevista dall’art. 50-bis, comma 6, secondo periodo, del decreto-legge n. 331 del 1993, da parte dei soggetti che procedono all’estrazione di beni introdotti in deposito IVA ai sensi del comma 4, lettera b), del medesimo art. 50-bis. ).

I “Requisiti di garanzia”, ovvero gli elementi soggettivi di affidabilità che il contribuente deve possedere perché gli sia consentito procedere all’estrazione dei beni dal deposito IVA assolvendo all’obbligo d’imposta con l’inversione contabile e senza presentazione di alcuna garanzia, sono:

  1. l’aver presentato nei tre periodi d’imposta antecedenti l’operazione di estrazione la dichiarazione IVA;
  2. avere provveduto al versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alle ultime tre dichiarazioni annuali presentate alla data di estrazione dal deposito;
  3. non essere stato parte di un Avviso di rettifica o di accertamento definitivo per violazioni relative all’emissione o all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti relativamente ai tre periodi di imposta antecedenti l’operazione di estrazione;
  4. assenza della formale conoscenza dell’inizio di procedimenti penali o di condanne o di applicazione della pena su richiesta delle parti a carico del legale rappresentante o del titolare della ditta individuale per i reati previsti dagli articoli 2, 3, 5, 8, 10, 10-ter, 10-quater e 11 del Dlg n. 74/2000, e dall’art. 216 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.

In assenza dei suddetti requisiti il soggetto che estrae i beni dal deposito IVA è tenuto alla prestazione di una garanzia a favore del competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate per l’importo corrispondente dovuto per la durata di sei mesi dalla estrazione.

Una copia della stessa deve essere consegnata al gestore-estrattore dal deposito. La sussistenza dei requisiti di affidabilità deve essere attestata mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio, redatta in conformità del modello approvato dalla Agenzia delle Entrate. Suddetta dichiarazione ha validità temporale di un anno solare dalla presentazione e sarà utilizzata sin dalla prima estrazione.

E’ escluso l’obbligo di presentare garanzia:

  • se il soggetto che provvede all’estrazione dal deposito coincide con il dichiarante in dogana della operazione di immissione in libera pratica di beni destinati ad essere introdotti in un deposito IVA;
  • se il soggetto che procede all’estrazione dal deposito IVA è un soggetto autorizzato come Operatore Economico Autorizzato (AEO) o un soggetto esonerato dalle disposizioni in materia doganale. In questi casi infatti le operazioni sono già assistite da autonoma garanzia prestata all’atto del vincolo dei beni al regime.

Nell’ambito delle indicazioni rese dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione AdE 4/E/2017, assumono rilevanza le precisazioni riguardanti il trattamento impositivo delle operazioni poste in essere da un soggetto non residente, con rappresentante fiscale in Italia, mediante un deposito fiscale che, a seconda dei casi, è utilizzato anche ai fini IVA.

Le prime due fattispecie esaminate (conferma del regime IVA applicabile alle operazioni territorialmente rilevanti nel territorio dello Stato ai fini del tributo) si riferiscono al caso in cui i beni:

  • di provenienza intra UE, acquistati dal soggetto non residente o già di proprietà di quest’ultimo;
  • sono introdotti nel deposito fiscale, inizialmente non utilizzato ai fini IVA
    • (Operazione a) – acquisto di prodotti finiti provenienti da Stati membri diversi dall’Italia con consegna nel territorio dello Stato ed introduzione all’interno di un deposito fiscale (non utilizzato ai fini IVA) per la successiva rivendita nel territorio dello Stato, o in Stati membri diversi dall’Italia o in Paesi terzi;
    • Operazione b) – trasferimento nel territorio dello Stato di prodotti finiti di proprietà di BETA provenienti da Stati membri diversi dall’Italia con introduzione all’interno di un deposito fiscale (non utilizzato ai fini IVA) per la successiva rivendita nel territorio dello Stato, o in Stati membri diversi dall’Italia o in Paesi terzi)

In considerazione della non contestualità dell’acquisto intra UE, in senso stretto o per assimilazione, rispetto all’introduzione dei beni all’interno del deposito fiscale utilizzato ai fini IVA, l’Agenzia ha escluso l’applicazione dell’agevolazione prevista dall’articolo 50-bis del DL 331/93 , comma 4, lettera a)(Sono effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto le seguenti operazioni: a) gli acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione in un deposito IVA ……).

In questo caso il rappresentante fiscale italiano del soggetto estero realizza un acquisto intracomunitario, imponibile IVA ai sensi:

  • dell’articolo 38, comma 1, del D.L. 331/1993 (L’imposta sul valore aggiunto si applica sugli acquisti intracomunitari di beni effettuati nel territorio dello Stato …. )
  • oppure ai sensi dell’articolo 38, comma 3, lettera b), dello stesso D.L. 331/1993 (se i beni di provenienza intracomunitaria sono già di proprietà del soggetto non residente, si è in presenza di un trasferimento a destinazione del territorio dello Stato per le esigenze dell’impresa, assimilato ad un acquisto intracomunitario).

L’Agenzia ha, inoltre, chiarito l’ipotesi in cui i beni, questa volta di origine extracomunitaria, siano introdotti in un deposito fiscale utilizzato anche ai fini IVA.

Previa prestazione di idonea garanzia, commisurata all’importo dell’imposta che si renderebbe dovuta in sede di immissione in libera pratica, l’operazione non dà luogo al pagamento dell’IVA all’importazione, in applicazione dell’articolo 50-bis del DL 331/93, comma 4, lettera b)Sono effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto le seguenti operazioni: …… b) le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA previa prestazione di idonea garanzia commisurata all’imposta. La prestazione della garanzia non e’ dovuta …..)

Ai sensi dell’articolo 50-bis del DL 331/93, comma 4, lettera c)Sono effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto le seguenti operazioni: ……c) le cessioni di beni eseguite mediante introduzione in un deposito I.V.A. …..) l’operazione non dà luogo all’addebito dell’imposta nel caso in cui il soggetto non residente, per il tramite del numero di partita IVA di altro Stato membro, acquisti beni ceduti da un operatore italiano con contestuale introduzione all’interno di un deposito utilizzato anche ai fini IVA in Italia ( in linea con quanto specificato dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (RIS) n. 66 /E del 15 maggio 2001 (1)  e dalla più circolare AdE  12/E/2015).

Per effetto delle modifiche introdotte dal D.L. 193/2016, l’operazione in questione sarà agevolata anche se il cedente nazionale emette fattura nei confronti del rappresentante fiscale italiano del soggetto non residente. In base al nuovo testo dell’articolo 50-bis del DL 331/93, comma 4, lettera c)Sono effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto le seguenti operazioni: ……c) le cessioni di beni eseguite mediante introduzione in un deposito I.V.A. …..) , infatti, la detassazione risulta generalizzata, applicandosi a tutte le cessioni di beni eseguite mediante introduzione in un deposito IVA.

Per quanto riguarda le successive operazioni di rivendita dei beni estratti dal deposito IVA, l’Agenzia delle Entrate distingue a seconda della loro destinazione:

  • se i beni estratti sono spediti/trasportati in altro Stato membro dell’Unione europea o in uno Stato non appartenente all’Unione europea, l’estrazione non comporta l’obbligo di assolvimento dell’imposta, come previsto dall’articolo 50-bis del DL 331/93, comma 4, lettera f) e g) (Sono effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto le seguenti operazioni: ……f) le cessioni intracomunitarie di beni estratti da un deposito IVA con spedizione in un altro Stato membro della Comunita’ europea, salvo che si tratti di cessioni intracomunitarie soggette ad imposta nel territorio dello Stato; g) le cessioni di beni estratti da un deposito IVA con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunita’ europea;…..) Nello specifico:
    • le cessioni di prodotti con consegna in Stati membri diversi dall’Italia nei confronti di soggetti passivi stabiliti o identificati ai fini IVA nello Stato membro di destinazione costituiscono cessioni intracomunitarie di beni per le quali deve essere presentato il modello INTRA 1-bis. Tali cessioni rilevano ai fini della formazione del plafond e dell’acquisizione della qualifica di esportatore abituale;
    • le cessioni di prodotti con consegna in Stati non facenti parte dell’Unione europea costituiscono cessioni all’esportazione di beni rilevanti ai fini della formazione del plafond e dell’acquisizione della qualifica di esportatore abituale.
  • nell’ipotesi di estrazione dei beni dal deposito IVA in esecuzione di una cessione nel territorio nazionale, l’Agenzia ha messo in luce le differenti modalità di assolvimento dell’imposta previste dall’articolo 50-bis del DL 331/93, comma 6, nella formulazione attuale e in quella risultante dalle modifiche operate, con effetto dal 1° aprile 2017, dal D.L. 193/2016. In pratica, da tale data, l’imposta non sarà più assolta con il meccanismo del reverse charge, ma mediante versamento diretto, senza possibilità di compensazione, ad opera del gestore del deposito in nome e per conto del soggetto che estrae.

Fa eccezione a questa regola (vedi risoluzione AdE 4/E/2017l’ipotesi in cui i beni oggetto di estrazione siano di provenienza extracomunitaria, nel qual caso l’imposta resta ancora dovuta con il sistema del reverse charge, ma previa prestazione di idonea garanzia.

In realtà, l’ulteriore eccezione, riconosciuta dall’articolo 50-bis del DL 331/93, comma 6, si riferisce all’ipotesi dei beni di provenienza intracomunitaria, introdotti nel deposito IVA in forza di un acquisto intracomunitario, rispetto ai quali si prevede che “il soggetto che procede all’estrazione assolve l’imposta provvedendo alla integrazione della relativa fattura, con la indicazione dei servizi eventualmente resi e dell’imposta, ed alla annotazione della variazione in aumento nel registro di cui all’articolo 23 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 entro quindici giorni dall’estrazione e con riferimento alla relativa data; la variazione deve, altresì, essere annotata nel registro di cui all’articolo 25 del medesimo decreto entro il mese successivo a quello dell’estrazione”.

Quando l’operatore italiano che procede all’estrazione deve documentare l’operazione emettendo autofattura di acquisto e procedendo successivamente all’annotazione della fattura, esclusivamente nel registro degli acquisti, tenuto conto che l’obbligo di e-fattura decorre dal 1° gennaio 2019 per i soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, occorre verificare se l’estrazione dei beni dal deposito debba essere gestita mediante un’autofattura cartacea o elettronica.

La risposta 104/E/2019 del 09/04/2019 dell’agenzia delle Entrate ha chiarito che l’autofattura di estrazione dei beni da un deposito Iva deve essere inviata al sistema d’interscambio (SdI) solo da parte di operatori residenti o stabiliti e non anche dai soggetti non residenti identificati in Italia.

I soggetti non residenti identificati in Italia sono esclusi anche dalla comunicazione di cui all’articolo 1, comma 3-bis, del Dlgs 127/2015 (esterometro).

(1Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (RIS) n. 66 /E del 15 maggio 2001

OGGETTO: Introduzione di merci nazionali in deposito IVA. Art. 50-bis del DL 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n.427.

Con lettera del 1° febbraio 2000, codesta Confederazione ha chiesto di conoscere se, nel caso di cessioni effettuate nei confronti di un soggetto identificato ai fini IVA in un altro Stato membro e operante in Italia attraverso un proprio rappresentante fiscale, l’introduzione di beni in un deposito IVA in Italia debba essere fatturata senza pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 50-bis, quarto comma, lett. c), del DL 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n.427, ovvero ai sensi della successiva lett. d) della stessa disposizione.

Al riguardo è stato precisato che la fattura, emessa dal fornitore nazionale senza applicazione dell’IVA, reca anche il codice identificativo del rappresentante fiscale in Italia, trattandosi di operazione “veicolata” attraverso quest’ultimo soggetto.

Esaminata la questione, preliminarmente si osserva che il beneficio della non applicazione dell’IVA nel caso indicato al quarto comma, lett. c), del predetto art. 50-bis è riconducibile esclusivamente all’ipotesi di cessioni di beni da introdurre nei depositi IVA, effettuate nei confronti di operatori identificati ai fini IVA in altro Stato membro. Invece, nel caso previsto dalla successiva lett.d), l’agevolazione riguarda cessioni mediante introduzione dei beni nei depositi IVA effettuate nei riguardi di cessionari diversi da soggetti di imposta comunitari (operatori nazionali o extracomunitari) e limitatamente ai beni compresi nella Tabella A-bis allegata al citato DL n. 331 del 1993, trattati normalmente in apposite borse merci.

Tanto premesso, la fattispecie prospettata può essere inquadrata nell’ambito del quarto comma, lett. c), del citato art. 50-bis, qualora l’operatore nazionale effettui la cessione direttamente nei confronti del cliente comunitario tramite l’introduzione dei beni nel deposito IVA. Infatti, come già chiarito con circolare n. 13 del 23 febbraio 1994 (cfr. punto B 8), “l’obbligo di avvalersi del rappresentante fiscale, ancorché già nominato per altre operazioni, non sussiste nelle ipotesi in cui, sia per le cessioni che per le prestazioni, l’operazione venga posta in essere direttamente tra l’operatore comunitario e quello nazionale”.

Invece, nel caso in cui l’operazione in discorso transiti attraverso il rappresentante fiscale, come sembrerebbe evincersi dalla circostanza che la fattura emessa dal cedente contiene anche gli estremi identificativi di tale ultimo soggetto, non potrebbe farsi ricorso alla disposizione agevolativa prevista dalla lett. c) del ripetuto art. 50-bis del DL n. 331 del 1993, venendo a mancare il rapporto diretto tra cedente nazionale ed acquirente comunitario. Né risulterebbe applicabile in quest’ultima ipotesi il beneficio del non assoggettamento ad IVA previsto dalla successiva lett. d), a meno che, come sopra detto, la cessione non riguardi i beni indicati nella Tabella A-bis, allegata al DL n. 331 del 1993.

Occorre aggiungere, in conclusione, che per i beni introdotti nel deposito IVA ai sensi della lett. c) del citato art. 50-bis del DL n. 331 del 1993, l’intervento del rappresentante fiscale, di cui sopra, si rende necessario per l’espletamento degli adempimenti conseguenti all’estrazione dei beni, senza che ciò snaturi la qualificazione giuridica dell’operazione di introduzione dei beni nel deposito medesimo.

 

Ecommerce diretto – IVA e fatturazione in Italia da parte di operatore UE

L’Ecommerce diretto ha per oggetto lo scambio di beni immateriali o digitalizzati, in cui l’intera transazione commerciale, inclusa la produzione e la consegna del bene, avviene per via telematica. Le norme comunitarie ne propongono una casistica esemplificativa contenuta nell’Allegato II (1) della Direttiva 2006/112/CE e successive modifiche ed integrazioni.

In base all’art. 56, lettera K, della Direttiva 2006/112/CE il luogo delle prestazioni di servizi prestati per via elettronica, segnatamente quelli di cui Allegato II alla stessa Direttiva (1) , forniti a destinatari stabiliti fuori della Comunità o a soggetti passivi stabiliti nella Comunità ma fuori del paese del prestatore, è quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o dispone di una stabile organizzazione per la quale è stata resa la prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o stabile organizzazione, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale.

L’articolo 7, paragrafo 1, del Reg. UE 282/2011 del 15 marzo 2011 stabilisce che i «servizi prestati tramite mezzi elettronici», di cui alla direttiva 2006/112/CE, comprendono i servizi forniti attraverso Internet o una rete elettronica e la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata, corredata di un intervento umano minimo e impossibile da garantire in assenza della tecnologia dell’informazione.
Sono espressamente esclusi dall’Ecommerce diretto le tipologie di servizio elencate dall’articolo 7, paragrafo 3, Reg. UE 282/2011 del 15 marzo 2011 ed i servizi di tele-radio diffusione e telecomunicazione
.

Il principio generale di tassazione è quello per cui l’IVA deve essere scontata nel Paese di destinazione dei beni immateriali, non assume alcun rilievo la distinzione tra committente soggetto passivo (B2B) piuttosto che privato (B2C) e neanche la residenza, all’interno della UE o extra UE.

Le pratiche operative con cui viene assolta l’imposta nel Paese di residenza del committente variano in base dello status giuridico rivestito: imprenditore o privato.

Nel caso in cui il committente è un soggetto passivo l’imposta sarà da questo assolta tramite il meccanismo del reverse charge .

Per i committenti privati sarà lo stesso prestatore a dover assolvere l’imposta tramite l’identificazione diretta, la nomina del rappresentate fiscale oppure il regime del MOSS (Mini One Stop Shop o Mini Sportello Unico).

Le transazioni relative al commercio elettronico diretto, non godono dell’esonero dall’obbligo di emissione della fattura, previsto per il commercio elettronico indiretto B2C,  ai sensi dell’art. 22 D.P.R. n. 633/1972, e dunque, ove territorialmente rilevanti ai fini IVA in Italia, sono soggette all’obbligo di fatturazione, nei termini di cui all’art. 6, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, ossia avuto riguardo al momento del pagamento del corrispettivo.

Nella risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-03615 del 24.09.2014, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che le operazioni di commercio elettronico “diretto” (cd. “servizi di e-commerce”), ove territorialmente rilevanti ai fini IVA in Italia, sono soggette all’obbligo di fatturazione, nei termini di cui all’art. 6, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, ossia avuto riguardo al momento del pagamento del corrispettivo.

In relazione alle novità in vigore dal 01.01.2015, nella “Relazione della Commissione al Consiglio relativa alla Direttiva n. 2008/8/CE, ha raccomandato agli Stati membri di esonerare dall’obbligo di emissione della fattura le prestazioni di servizi relative al commercio elettronico diretto rientranti nell’ambito di applicazione del MOSS (Mini One Stop Shop).

In linea con questa raccomandazione, nel Decreto Legislativo 31 marzo 2015, n. 42 (Attuazione della direttiva 2008/8/CE) all’art. 2, comma 2, è stato previsto espressamente l’esonero dagli obblighi di cui al Titolo II del D.P.R. n. 633/1972 (fatturazione, registrazione, ecc.) per le imprese che aderiscono al MOSS.

Nessuna deroga è, invece, prevista per i servizi digitali resi nei rapporti “B2B”, che restano soggetti all’obbligo di emissione della fattura (art. 21, comma 6-bis, del D.P.R. n. 633/1972).

Nel caso di nomina di un rappresentante fiscale, il rappresentante fiscale del soggetto cedente UE è tenuto a fatturare l’operazione al soggetto privato italiano applicando Iva italiana.

Da un punto di vista della fatturazione del rappresentante fiscale, questi emetterà fattura imponibile IVA, e la registrerà nel proprio sezionale di vendita italiano.

Il cedente UE, non avendo stabile organizzazione in Italia, farà concorrere quella fattura alla determinazione del reddito nel proprio Paese di residenza.

Ecommerce indiretto B2C – IVA e fatturazione in Italia da parte di operatore UE

Nell’Ecommerce indiretto si attua uno scambio di beni.

A seconda della soggettività del cessionario possiamo avere:

  • B2B, nel caso di soggetto imprenditore (Business to Business);
  • B2C, nel caso di soggetto privato (Business to Consumer).

Nell’Ecommerce indiretto B2C le cessioni (beni mobili eseguite nei confronti di privati consumatori) sono assoggettate ad IVA nel Paese di residenza del cedente se non sono superate le soglie di fatturato su base annua stabilite dai vari Paesi UE.

Le Soglie annuali di vendita a distanza dell’UE sono:

Austria € 35.000
Belgio € 35.000
Bulgaria BGN 70.000
Croazia 270.000 HRK
Cipro € 35.000
Repubblica Ceca 1.140.000 CZK
Danimarca 280.000 DKK
Estonia € 35.000
Finlandia € 35.000
Francia € 35.000
Germania € 100.000
Grecia € 35.000
Ungheria 8.800.000 HUF
Irlanda € 35.000
Italia € 35.000
Lettonia € 35.000
Lituania € 35.000
Lussemburgo € 100.000
Malta € 35.000
Olanda € 100.000
Norvegia N / A
Polonia 160.000 PLN
Portogallo € 35.000
Romania RON 118.000
Slovacchia € 35.000
Slovenia € 35.000
Spagna € 35.000
Svezia 320.000 SEK
Svizzera N / A
Regno Unito £ 70.000

 

Quindi nel caso di B2C verso consumatori privati italiani, superata la soglia di € 35.000, le cessioni sono assoggettate ad Iva in Italia ed il il venditore comunitario si troverà a dover adempiere l’obbligazione tributaria tramite l’identificazione diretta oppure la nomina del rappresentate fiscale.

La disciplina del rappresentante fiscale è dettata dall’articolo 17 D.P.R. n. 633/1972, comma 3: “[…] Nel caso in cui gli obblighi o i diritti derivanti dalla applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto sono previsti a carico ovvero a favore di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, i medesimi sono adempiuti od esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti direttamente, se identificati ai sensi dell’articolo 35-ter, ovvero tramite un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato […]”

Il rappresentante fiscale e’ soggetto a tutti gli obblighi previsti dalla normativa IVA per i soggetti residenti e gode dei medesimi doveri e diritti: fatturazione, liquidazione, versamento, detrazione, dichiarazione annuale, etc.

In questo caso la cessione è rilevante ai fini IVA in  Italia e va trattata come una cessione interna e, secondo noi, dal punto di vista pratico, ai fini Iva vanno applicate le relative norme interne anche in tema di fatturazione.

Il commercio elettronico “indiretto”, ai fini Iva, rappresenta una cessione di beni. In particolare, tale tipologia di commercio, a differenza del commercio elettronico diretto, è assimilato alle vendite per corrispondenza, di conseguenza, ai fini della fatturazione vale la regola stabilita dall’articolo 22, comma 1, n. 1) D.P.R. 633/1972, secondo cui, l’emissione della fattura non è obbligatoria, se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione.

Quindi nel caso la fattura non sia richiesta dal cliente italiano il rappresentante fiscale del soggetto cedente UE:

  • non è obbligato ad emettere fattura;
  • trovano applicazione anche le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettera oo) D.P.R. 696/1996, secondo cui per tali operazioni, qualificabili ai fini Iva come interne, non sussiste nemmeno obbligo di emettere ricevuta/scontrino fiscale.

Rimane obbligatoria:

  • l’annotazione dell’operazione di vendita sul registro dei corrispettivi;
  • l’istituzione, insieme al registro dei corrispettivi, del registro delle fatture emesse di cui all’articolo 23 D.P.R. 633/1972 nel caso in cui sia stata emessa fattura;
  • l’obbligo di accompagnare la merce venduta con documento di trasporto (DDT).

L’Agenzia delle entrate con la risoluzione 274/E/2009 ha evidenziato che, seppur non sussista obbligo di fatturazione, chi esercita l’attività di vendita di beni online deve tener conto della possibilità che il contribuente restituisca la merce ricevuta (c.d. resi). Mancando la fattura, il venditore non può emettere la nota di variazione (articolo 26 D.P.R. 633/1972) poiché manca la fattura di riferimento da rettificare. In tale ipotesi, secondo quanto indicato in tale documento di prassi, per poter procedere con il “recupero” dell’Iva derivante dal reso del bene ceduto mediante commercio elettronico indiretto, il soggetto cedente deve fornire la documentazione che consenta di individuare gli elementi necessari a correlare la restituzione al medesimo bene risultante dal documento, che la società è tenuta a conservare, probante l’acquisto originario, quali:

  • le generalità del soggetto acquirente;
  • l’ammontare del prezzo rimborsato;
  • il “codice” dell’articolo oggetto di restituzione;
  • il “codice di reso” (quest’ultimo deve essere riportato su ogni documento emesso per certificare il rimborso).

Tuttavia, sotto il profilo operativo, la nota di variazione può essere emessa solo a fronte di cessione di beni per le quali si stata emessa la fattura, mentre per le operazioni soggette al rilascio dello scontrino/ricevuta fiscale è necessario rinviare alle disposizioni di cui all’articolo 12 D.M. 23.03.1983, che prevede, tra l’altro, l’indicazione nello scontrino fiscale di “eventuali rimborsi per restituzione di vendite o imballaggi cauzionati” (risoluzione 86/E/2007).

La stessa Agenzia delle entrate, con la risoluzione 219/E/2003, ha chiarito che oltre agli adempimenti Iva è necessario che dalle risultanze delle scritture ausiliare di magazzino, correttamente tenute, sia possibile verificare la movimentazione fisica del bene reinserito nel circuito di vendita.

Nel caso la fattura sia richiesta dal cliente italiano il rappresentante fiscale del soggetto cedente UE è tenuto a fatturare l’operazione al soggetto privato italiano applicando Iva italiana.

Da un punto di vista della fatturazione del rappresentante fiscale, questi emetterà fattura imponibile IVA, e la registrerà nel proprio sezionale di vendita italiano.

Il cedente UE, non avendo stabile organizzazione in Italia, farà concorrere quella fattura alla determinazione del reddito nel proprio Paese di residenza.

Poniamo il caso che la merce venga preventivamente introdotta in Italia per esigenze del cedente UE.

Siamo in presenza di un passaggio della merce dal cedente Ue alla sua rappresentanza fiscale italiana.

Si tratta di una cessione intracomunitaria tra operatore UE cedente ed il proprio rappresentante fiscale.

Il Rappresentante fiscale riceve fattura dal proprio cedente UE, sulla quale deve operare in reverse charge.

Questo al fine di effettuare gli adempimenti legati alla disciplina IVA.

In questo caso, però, sarà doveroso esaminare anche, di volta in volta (in base alla disponibilità di un magazzino, alle modalità di gestione dell’attività in Italia, ecc.),   se siamo in presenza di una stabile organizzazione.

 

L’evoluzione delle Direttive DAC (Directive Administrative Cooperation)

Evoluzione delle Direttive DAC (Directive Administrative Cooperation) dal 2011 ad oggi

DAC  Direttiva del Consiglio Attuazione
1 15/02/2011 2011/16/UE  Cooperazione amministrativa nel settore fiscale,scambio automatico di informazioni dai periodi d’imposta dal 1o gennaio 2014 (abroga la Direttiva 77/799/CEE) D. Lgs.  4 marzo 2014, n. 29
2 09/12/2014 2014/107/UE recante modifiche alla direttiva 2011/16/UE Amplia le categorie di reddito oggetto di scambio automaticoobbligo di trasmettere informazioni, per i periodi d’imposta a decorrere dal 1o gennaio 2016, per quanto concerne i Conti Bancari Normativa italiana di riferimento 
3 08/12/2015 2015/2376/UE recante modifiche alla direttiva 2011/16/UE Estende lo scambio automatico obbligatorio di informazioni ai ruling preventivi transfrontalieri e agli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento D. Lgs. 15 marzo 2017, n. 32 
4 25/05/2016 2016/881/UE recante modifiche alla direttiva 2011/16/UE Scambio automatico obbligatorio di informazioni in materia di rendicontazione Paese per Paese Articolo 1, commi 145 e 146 della legge 28 dicembre 2015, n. 208

D.M. 23/02/2017

5 06/12/2016 2016/2258/UE recante modifiche alla direttiva 2011/16/UE Accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni in materia di antiriciclaggio Legge 25 ottobre 2017, n, 163

D.Lgs. 18 maggio 2018, n. 60

6 25/05/2018 2018/822/UE recante modifiche alla direttiva 2011/16/UE Scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica.

La direttiva n. 2011/16/UE  (DAC 1) del 15 febbraio 2011 che ha abrogato, con effetto dal 1° gennaio 2013, la direttiva n. 77/799/CEE stabilendo le norme e le procedure in base alle quali gli Stati membri cooperano tra loro ai fini dello scambio di informazioni fiscali per le Amministrazioni finanziarie. La direttiva è stata recepita nell’ordinamento giuridico interno con il D. Lgs.  4 marzo 2014, n. 29.

Nella Direttiva sono previste tre tipologie di scambio di informazioni:
  • «scambio di informazioni su richiesta»: lo scambio di informazioni basato su una richiesta effettuata dallo Stato membro richiedente allo Stato membro interpellato in un caso specifico;
  • «scambio automatico»: la comunicazione sistematica di informazioni predeterminate ad un altro Stato membro, senza richiesta preventiva, a intervalli regolari prestabiliti. Nel contesto dell’articolo 8 le informazioni disponibili sono le informazioni contenute negli archivi fiscali dello Stato membro che comunica le informazioni, consultabili in conformità delle procedure per la raccolta e il trattamento delle informazioni in tale Stato membro;
  • «scambio spontaneo»: la comunicazione occasionale, in qualsiasi momento e senza preventiva richiesta di informazioni ad un altro Stato membro;

Su richiesta dell’autorità richiedente, l’autorità interpellata trasmette all’autorità richiedente le informazioni di cui sia in possesso o che ottenga a seguito di un’indagine amministrativa.

L’autorità competente di ciascuno Stato membro comunica all’autorità competente di qualsiasi altro Strato membro, mediante scambio automatico obbligatorio, le informazioni disponibili sui periodi d’imposta dal 1o gennaio 2014 riguardanti i residenti in tale altro Stato membro sulle seguenti categorie specifiche di reddito e di capitale ai sensi della legislazione dello Stato membro che comunica le informazioni:

  1. redditi da lavoro;
  2. compensi per dirigenti;
  3. prodotti di assicurazione sulla vita non contemplati in altri strumenti giuridici dell’Unione sullo scambio di informazioni e misure analoghe;
  4. pensioni;
  5. proprietà e redditi immobiliari.

La comunicazione di informazioni ha luogo almeno una volta all’anno, entro i sei mesi successivi al termine dell’anno fiscale dello Stato membro durante il quale le informazioni sono state rese disponibili.

Le informazioni sono trasmesse elettronicamente, per quanto possibile, utilizzando la piattaforma comune basata sulla rete comune di comunicazione (CCN) e sull’interfaccia comune di sistema (CSI), sviluppata dall’Unione per assicurare tutte le trasmissioni con mezzi elettronici tra le autorità competenti nel settore delle dogane e della fiscalità.

La direttiva del 2011, con l’obiettivo di contrastare la frode fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva, è stata oggetto di rilevanti interventi di modifica:
  • direttiva n. 2014/107/UE (DAC 2) del Consiglio del 9 dicembre 2014, che ha ampliato l’ambito di applicazione della DAC 1 promuovendo lo scambio automatico di informazioni come standard europeo e internazionale di trasparenza e di cooperazione:
  • direttiva n. 2015/2376/UE (DAC 3) del Consiglio dell’8 dicembre 2015 che ha introdotto il nuovo art. 8-bis che estende lo scambio automatico obbligatorio di informazioni ai ruling preventivi transfrontalieri e agli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento. La direttiva è stata recepita nell’ordinamento giuridico interno con il D. Lgs. 15 marzo 2017, n. 32;
  • direttiva n. 2016/881/UE (DAC 4) del Consiglio del 25 maggio 2016 che ha esteso il campo di applicazione dello scambio automatico di informazioni con l’introduzione del nuovo art. 8-bis bis concernente “Ambito di applicazione e condizioni dello scambio automatico obbligatorio di informazioni in materia di rendicontazione Paese per Paese”. L’articolo 1, commi 145 e 146 della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (stabilità 2016) ha previsto che la controllante capogruppo di un gruppo multinazionale, residente nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 73 del TUIR, deve presentare all’Agenzia delle Entrate una rendicontazione paese per paese. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabiliti modalità, termini, elementi e condizioni per la trasmissione annuale della rendicontazione. E’ tenuta alla presentazione della rendicontazione la controllante capogruppo, avente l’obbligo di redazione del bilancio consolidato, con un fatturato consolidato, nel periodo d’imposta precedente a quello di rendicontazione, di almeno 750 milioni di euro e che non è controllata, direttamente o indirettamente, da altra impresa del gruppo multinazionale o da altri soggetti tenuti a tale obbligo.Parallelamente, l’obbligo di scambio automatico, le prime linee guida in merito all’obbligo di rendicontazione Country by Country Reporting  (CbCR) e allo scambio delle informazioni tra le amministrazioni finanziarie si rinvengono nel BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) cd. «Progetto BEPS» – Action 13 (“Guidance on the Implementation of Transfer Pricing Documentation and Country-by-Country Reporting”), pubblicato il 5 ottobre 2015, a conclusione dei lavori del progetto. Le indicazioni contenute nel BEPS – Action 13, in tema di rendicontazione paese per paese, sono state recepite nell’ordinamento interno con la Legge 28 dicembre 2015, n. 208.
    Per la normativa italiana di riferimento vedi: https://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Schede/Comunicazioni/Scambio+Automatico+Finanziario+Internazionale/Normativa+di+riferimento+Scambio+Automatico+Finanziario+Internazionale/?page=schede
  • direttiva n. 2016/2258/UE (DAC 5) del Consiglio del 6 dicembre 2016 che modifica la direttiva del 2011 per quanto riguarda l’accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni in materia di antiriciclaggio.
  • direttiva n. 2018/822/UE (DAC 6) del Consiglio del 25 maggio 2018 che modifica la direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica.La Direttiva riflette ampiamente l’azione 12 (BEPS – Action 12: Disclosure of aggresive tax planning) del piano OCSE del 2013 per combattere la riduzione della base imponibile e il trasferimento degli utili a seguito di una pianificazione fiscale aggressiva.
    La Direttiva pone l’obbligo di comunicazione a carico degli intermediari (art. 3, punto 21: “qualunque persona che elabori, commercializzi, organizzi o metta a disposizione a fini di attuazione o gestisca l’attuazione di un meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica”. Quindi per. es. commercialisti, avvocati….)
    I nuovi obblighi di segnalazione si applicheranno a partire dal 1 ° luglio 2020. Gli Stati membri saranno obbligati a scambiarsi informazioni ogni tre mesi, entro un mese dalla fine del trimestre in cui sono presentate le informazioni. Il primo scambio automatico di informazioni sarà quindi completato entro il 31 ottobre 2020.

Direttive anti elusione – Anti Tax Avoidance Directives (ATAD 1 e 2)

La  direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio, del 12 luglio 2016  (cosiddetta Anti Tax Avoidance Directive – ATAD 1) fa parte del pacchetto anti elusione (Anti Tax Avoidance Package) varato dalla Commissione Europea per introdurre negli Stati membri un insieme di misure di contrasto alle pratiche di elusione fiscale.
Essa si basa sulle raccomandazioni dell’OCSE del 2015 volte ad
affrontare l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (progetto Base erosion and profit shifting (BEPS)): si tratta di azioni per contrastare le politiche di pianificazione fiscale aggressiva  e per evitare lo spostamento di base imponibile dai Paesi ad alta fiscalità verso altri con pressione fiscale bassa o nulla da parte delle imprese multinazionali, puntando a stabilire regole uniche e trasparenti condivise a livello internazionale.

Oltre 125 paesi e giurisdizioni, nell’ambito del quadro inclusivo dell’OCSE / G20, collaborano per attuare le misure BEPS.

Le norme della direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio, del 12 luglio 2016 (Atad 1) sono in vigore dal 1° gennaio e saranno operative e a pieno regime dalla metà del 2019.

Tutti gli Stati membri:
  • tasseranno i profitti fiscali trasferiti verso Paesi a fiscalità ridotta in cui l’impresa non possiede alcuna attività economica reale ((Articolo 7 – Norme sulle società controllate estere) L’azione BEPS 3 contiene raccomandazioni per rafforzare le regole per la tassazione delle società straniere controllate (CFC));
  • limiteranno l’importo degli interessi passivi netti che un’impresa può detrarre dal reddito imponibile ((Articolo 4 – Norma relativa ai limiti sugli interessi)BEPS 4) .
  • saranno nella posizione, anche legiferando in modo autonomo, di applicare norme anti abuso (Articolo 6 – Norma generale antiabuso (La norma generale anti elusione – General anti avoidance rule (GAAR) – Art. 6 direttiva ATAD 1)).

La direttiva (UE) 2017/952 del Consiglio del 29 maggio 2017 (Atad 2 ) ha apportato modifiche alla direttiva 2016/1164, allo scopo di contrastare i cd. disallineamenti da ibridi (Azione BEPS 2) che coinvolgono i Paesi terzi, ovvero le differenze di trattamento fiscale a norma delle leggi di due o più giurisdizioni fiscali per ottenere una doppia non imposizione.
La direttiva 2016/1164 (Atad 1) , infatti, disciplina solo le regolazioni ibride da disallineamento fiscale derivate dall’interazione fra i regimi di imposizione delle società degli Stati membri. L’obiettivo della modifica è applicare tali norme a tutti i contribuenti assoggettati all’imposta sulle società in uno Stato membro, comprese le stabili organizzazioni di entità
residenti in Paesi terzi.

La direttiva del 2017 prevede inoltre:

  • l’esclusione, facoltativa per uno Stato membro, dal campo di
    applicazione della direttiva di talune operazioni finanziarie;
  • l’entrata in vigore delle proprie disposizioni il 1° gennaio 2020 (un anno in più rispetto alla direttiva 2016/1164).
Le direttive impongono agli Stati membri di applicare:
  • la nuova normativa sulle CFC e le disposizioni generali antiabuso nel diritto interno con effetto dal 1° gennaio 2019;
  • l’applicazione della regola di tassazione in uscita con effetto dal 1° gennaio 2020;
  • la maggior parte delle misure relative ai disallineamenti ibridi con effetto dal 1° gennaio 2020 (nel caso di particolari schemi ibridi, 1° gennaio 2022).
  • l’attuazione delle misure di limitazione degli interessi può, in alcuni casi, essere rinviata al 1° gennaio 2024.
L’UE si adopera inoltre per garantire che i suoi partner internazionali attuino norme globali contro l’elusione fiscale, attraverso un lavoro continuo su un elenco di giurisdizioni fiscali non collaborative (vedi: Nuova Black List UE al 12/03/2019).
In attuazione delle due Direttive in Italia è stato emanato il D.Lgs. 29 novembre 2018, n. 142 (GU Serie Generale n.300 del 28-12-2018)

Vedi: http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/FI0045.pdf

Direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, e successive norme concernenti il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie

Regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie

L’Unione europea ha introdotto, per i gruppi di società di Stati membri diversi, disposizioni fiscali neutre sotto il profilo della concorrenza. Essa sopprime la doppia imposizione degli utili distribuiti in forma di dividendi dalle società figlie stabilite in uno Stato membro alle proprie società madri stabilite in un altro Stato membro

Direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri
diversi

Direttiva 2003/123/CE che modifica la direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società
madri e figlie di Stati membri diversi

Direttiva 2006/98/CE che adegua talune direttive in materia di fiscalità, a motivo dell’adesione della Bulgaria e della Romania

Direttiva  2011/96/UE  concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (rifusione)

Direttiva 2014/86/UE recante modifica della direttiva 2011/96/UE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi

Direttiva (UE) 2015/121 DEL CONSIGLIO
del 27 gennaio 2015 che modifica la direttiva 2011/96/UE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi

Art. 26 della Legge n. 122 del 7 luglio 2016 “disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea”, meglio nota come “legge europea”,  pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 del 8 luglio 2016.

La norma generale anti elusione – General anti avoidance rule (GAAR) – Art. 6 direttiva ATAD 1

La norma generale anti elusione (General anti avoidance rule (GAAR)) è un tipo di norma concepita per combattere gli scenari di elusione fiscale che in  forma giuridica legittima mirano a eludere le conseguenze giuridiche.

Un sistema fiscale, per affrontare scenari innovativi di evasione fiscale, adotta la General anti avoidance rule .

La General anti avoidance rule è contemplata dall’art. 6 (1) della direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio, del 12 luglio 2016 (Atad  (Anti tax avoidance Directive)  1) recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno.

Nel campo del diritto tributario, la GAAR è stata criticata per essere troppo astratta e quindi dannosa per la certezza del diritto.

Nell’art. 6 della ATAD 1 sono contemplati cumulativamente un  test soggetto ed un test oggettivo che esaminano l’intensione soggettiva dei contribuenti e la realtà economica oggettiva.

Al riguardo del test soggettivo (comma 1 art. 6)  vengono considerate quelle costruzioni poste in essere allo scopo principale  di ottenere un vantaggio fiscale  in contrasto con l’oggetto o la finalità del diritto fiscale applicabile.

Al riguardo del test oggettivo (comma 1 art. 6) una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica.

(1) DIRETTIVA (UE) 2016/1164 DEL CONSIGLIO del 12 luglio 2016

Articolo 6 – Norma generale antiabuso

1.   Ai fini del calcolo dell’imposta dovuta sulle società, gli Stati membri ignorano una costruzione o una serie di costruzioni che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità del diritto fiscale applicabile, non è genuina avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti. Una costruzione può comprendere più di una fase o parte.

2.   Ai fini del paragrafo 1, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica.

3.   Quando le costruzioni o una serie di costruzioni sono ignorate a norma del paragrafo 1, l’imposta dovuta è calcolata in conformità del diritto nazionale.