Elusione – Abuso del Diritto – La violazione di una norma antielusiva puo’ costituire reato tributario

giurisprudenza

Si ricorda chel’art,  37-bis del DPR n. 600/73 prevede specifiche disposizioni anti-elusive.

La norma dispone l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria degli atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, se:

  1. privi di valide ragioni economiche;
  2. diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario;
  3. volti ad ottenere un vantaggio fiscale indebito (riduzione d’imposta o rimborso).

L’elusione fiscale scatta, pertanto, solo in presenza di determinati negozi giuridici previsti dalle norme predette, tra cui rientrano anche le cessioni ed i conferimenti.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7739 del 2012 ha affermato la rilevanza penale dell’elusione attuata attraverso il ricorso a qualsiasi forma di abuso del diritto. In particolare, il reato di cui all’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (infedele dichiarazione, oltre una certa soglia di imposta non dichiarata) è stato ritenuto configurabile quando la condotta del contribuente, risolvendosi in atti e negozi non opponibili all’Amministrazione finanziaria, comporti comunque una dichiarazione non veritiera.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36894, depositata il 9 settembre 2013, ha ribadito che, la violazione di una norma antielusiva può costituire reato tributario.

Nel caso, l’indagato, eccepiva, ricorrendo in Cassazione, che:

  1. doveva escludersi la rilevanza penale dell’elusione fiscale in quanto la prova della responsabilità, in campo penale, si forma in maniera del tutto diversa rispetto alla formazione della prova dell’evasione tributaria, dato che, mentre il fisco può ricorrere a presunzioni, il giudice penale deve effettivamente motivare un’eventuale condanna sulla base di dati attendibili;
  2. i delitti tributari sono punibili solo a titolo di dolo, incompatibile con la “strutturazione psicologica” dell’elusione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36894, depositata il 9 settembre 2013, ha respinto il ricorso.

I giudici di legittimità premettono che il tema della rilevanza penale dell’elusione fiscale è oggetto di contrasto in seno alla Suprema Corte, in quanto, alcune decisioni (Sez. V, sent. n. 23730 del 2006; Sez. III, sent. n. 14486 del 2008) non hanno ritenuto sussistente, in queste ipotesi, alcuna violazione penale.

Tuttavia, nella pronuncia n. 36894, i giudici della Corte di Cassazione ritengono che siano più convincenti le decisioni favorevoli alla rilevanza penale della condotta elusiva (vedi n. 26723/2011, n. 29724/2010), per cui,  superata la soglia di punibilità,  è  configurabile il delitto di dichiarazione infedele in presenza di una condotta elusiva rientrante in quelle previste dall’art. 37-bis.

Inoltre, con riferimento al caso di specie, i giudici richiamano una pronuncia della Seconda sezione (n. 7739/2011) in cui si afferma che i reati tributari di dichiarazione infedele o di omessa dichiarazione possono essere integrati anche da condotte elusive, strettamente riconducibili alle ipotesi previste dall’art. 37, comma 3, e 37-bis del D.P.R. n. 600/73.

I giudici di legittimità motivano la loro decisione anche sulla base dell’art. 16 del D.Lgs. n. 74 del 2000 il quale prescrive che “Non da luogo a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, avvalendosi della procedura stabilita dall’articolo 21, commi 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (procedimento di interpello), si è uniformato ai pareri del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell’istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso”.

I giudici ritengono, pertanto, che detta disposizione induce proprio a ritenere che l’elusione, fuori dal procedimento di interpello, possa avere rilevanza penale.

Con la suddetta sentenza la Corte di Cassazione ribadisce l’orientamento, di recente anche espresso nella sentenza n. 33187/2013, per cui, mentre l’abuso di diritto non può costituire reato, può affermarsi la rilevanza penale di condotte che rientrano in una specifica disposizione fiscale antielusiva.

Quindi, in sintesi,  la Cassazione arriva ad affermare che l’elusione può far discendere la responsabilità penale del contribuente.

Con riferimento all’art. 16 del D.Lgs. n. 74/00, è però da sottolineare che la relazione al decreto legislativo afferma testualmente che tale disposizione non può essere letta come “diretta a sancire la rilevanza penalistica delle fattispecie lato sensu elusive non rimesse alla preventiva valutazione dell’organo consultivo”.

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