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Criptovalute – Quadro RW

Per la prima volta, le istruzioni al quadro RW, Modello Persone Fisiche 2019 (redditi 2018), riportano che nel quadro RW vanno indicate anche le valute virtuali.

Le istruzioni alla compilazione del quadro RW prevedono che nella tabella dei codici delle attività detenute all’estero occorre indicare,  con il codice 14 (“Tabella codici investimenti all’estero e attività estera di natura finanziaria” posta in appendice alle istruzioni – fascicolo 2), anche le valute virtuali. Sempre le istruzioni riportano che nel caso delle valute virtuali il codice dello Stato estero può non essere indicato.

Larticolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW).

Il quadro RW deve essere compilato, ai fini del monitoraggio fiscale, dalle persone fisiche residenti in Italia che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, in ogni caso, ai fini dell’Imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e dell’Imposta sul valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero (IVAFE).

L’obbligo di monitoraggio non sussiste per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro (l’art. 2 della Legge n. 186 del 2014, modificando l’articolo 4, comma 3, secondo periodo, del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ha portato la soglia da 10.000 a 15.000 euro) resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro laddove sia dovuta l’IVAFE.

Tali soggetti devono indicare la consistenza degli investimenti e delle attività detenute all’estero nel periodo d’imposta;
questo obbligo sussiste anche se il contribuente nel corso del periodo d’imposta ha totalmente disinvestito.

Nonostante l’entrata a regime del Common Reporting Standard (CRS, scambio automatico di informazioni tra amministrazioni finanziarie)  e del FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), il Modello Redditi PF 2019 obbliga ancora alla compilazione del Quadro RW.

L’art. 9, della Legge 6 agosto 2013, n. 97  (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013), sostituendo l’art. 4 del
decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ha esteso l’obbligo di compilazione compilazione del quadro RW ai titolari effettivi delle attività estere, secondo la nozione ricavabile dalla normativa antiriciclaggio (Decreto Legislativo 231/2007, art. 1, comma 2, lettera pp) (1), e dall’art. 20 (2), come modificato dal Decreto Legislativo 25 maggio 2017, n. 90). In merito alla figura del titolare effettivo si esprime dettagliatamente la Circolare N. 38/E del 20131.1.1 La figura del titolare effettivo.

La compilazione del quadro RW consente anche di liquidare l’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili situati all’Estero) dovuta sugli immobili detenuti all’estero e l’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie detenute all’Estero) dovuta sulle attività finanziari detenute all’estero.

Per quelle attività, come le partecipazioni in società estere assimilabili alle Srl residenti, soggette al monitoraggio ma non alla liquidazione della IVIE o della IVAFE occorrerà barrare la casella “solo monitoraggio” nella colonna 20.

Con la risposta all’interpello non pubblico 956-39/2018, rilasciato dalla Direzione Regionale della Lombardia lo scorso 22 aprile) ha chiarito che: “Ai sensi dell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990, inoltre, è previsto l’obbligo di compilazione del quadro RW della Modello Redditi – Persone Fisiche, da parte delle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, tra le quali le valute estere.
Come chiarito dalla circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E (paragrafo 1.3.1.) sono soggette al medesimo obbligo anche le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.
Poiché alle valute virtuali si rendono applicabili i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali nonché le disposizioni in materia di antiriciclaggio, si ritiene che anche le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il citato quadro RW, indicando alla colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14 – “Altre attività estere di natura finanziaria”. Il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale.
Negli anni successivi, il contribuente dovrà indicare il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale vendute in corso d’anno.
Da ultimo, si precisa che le valute virtuali non sono soggette all’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato (c.d. IVAFE, istituita dall’articolo 19 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni), in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura “bancaria” (cfr. circolare 2 luglio 2012, n. 28/E).

Dando seguito alla risoluzione n. 72/E/2016 l’amministrazione conferma, nel rispetto della circolare n. 38/E/2013 sul monitoraggio fiscale, che anche le valute virtuali ricadono nell’obbligo dichiarativo nel Quadro RW.

C’è da considerare che la tecnologia blockchain, sulla quale si basano i bitcoin e altre criptovalute, rende, a di poco,  arduo determinare una loro precisa localizzazione geografica.

Le criptovalute sono dematerializzate, non hanno un “emittente” localizzabile in un determinato Stato e non prevedono un intermediario e le loro modalità di archiviazione sono  variegate e modificabili.

Le criptovalute, infatti, sono a-territoriali, non sono né in Italia né all’estero. Si può dire,  che le criptovalute sono nella “rete” (nella blockchain), per la quale non esiste né un concetto di “estero” né di territorio nazionale.

La dimensione a-territoriale delle criptovalute non può essere assimilata, nella gran parte dei casi, a quella delle attività estere di natura finanziaria. Con la conseguenza che il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate, con il quale sono stati approvati i modelli dichiarativi, risulterebbe in contrasto con la norma primaria di riferimento (articolo 4 del Dl 167/1990). Senza contare che se soltanto dal 2019 (anno d’imposta 20189  le istruzioni al quadro RW includono le valute virtuali tra le attività da indicare nello stesso, potrebbe significare che in passato l’obbligo non sussisteva.

Si può così giungere alla conclusione che l’obbligo di indicazione nel quadro RW non sussista ogni qualvolta la persona fisica abbia la disponibilità della chiave privata, che rappresenta il “mezzo” attraverso il quale la stessa persona manifesta la volontà di disporre delle criptovalute.

Tale conclusione appare in linea con l’articolo 4 del Model Tax Convention on Income and on Capital del 21 novembre 2017, il quale fissa la presunzione che il luogo di detenzione delle valute virtuali sia coincidente con lo Stato ove il contribuente risulta residente ai fini tributari.

L’indicazione nel quadro RW dovrebbe sussistere solo per le criptovalute per le quali le chiavi private sono gestite dal custodial wallet (In questo caso assume rilevanza la V Direttiva antiriciclaggio, che individua questi soggetti nei «prestatori di servizi di portafogli digitali»), se quest’ultimo risulta soggetto residente o domiciliato all’estero. L’indicazione non avrebbe senso, invece, per le criptovalute gestite attraverso custodial residenti in Italia, venendo a mancare ogni legame con l’estero.

Questa soluzione si coniuga anche con l’aspetto sanzionatorio. Le sanzioni relative al monitoraggio fiscale vengono, infatti, diversificate a secondo del luogo in cui le attività non dichiarate vengono detenute. Se le stesse risultano detenute nei Paesi black list, le sanzioni risultano raddoppiate. Il legame territoriale delle penalità ha una sua coerenza soltanto per le valute virtuali detenute attraverso i prestatori di servizi di portafogli digitali.

Considerando che le criptovalute sono costituite sostanzialmente da un software e che i relativi portafogli elettronici (i cosiddetti wallet) sono su piattaforme di gestione accessibili on line, si ritiene che nel nella colonna 4 del modello RW vada inserito il codice dello Stato Estero in cui ha sede il soggetto che eroga il servizio o il gestore del server.

Le istruzioni al Quadro RW specificano che nella colonna 4 va inserito il codice dello Stato estero, rilevato dalla tabella “Elenco Paesi e Territori esteri” posta in APPENDICE al FASCICOLO 1; tale codice non è obbligatorio nel caso di compilazione per dichiarare “valute virtuali”.

Il modello RW richiede l’indicazione del controvalore delle attività finanziarie detenute, sulla base del provvedimento del direttore delle Entrate del 18 dicembre 2013, emanato ai sensi e per gli effetti del comma 4 del Dl 167/1990 con il quale viene conferito il potere di stabilire «il contenuto della dichiarazione annuale delle attività all’estero nonché, annualmente, il controvalore in euro degli importi in valuta da dichiarare».

In tale provvedimento, per la valorizzazione delle attività finanziarie, viene operato un rinvio ai criteri utilizzati per la determinazione della base imponibile dell’Ivafe, previsti dal comma 20 dell’articolo 19 del Dl 201/2011, ancorché non dovuta.

Il criterio di valorizzazione dell’Ivafe consiste nel «valore di mercato, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui sono detenuti i prodotti finanziari (…) e, in mancanza, secondo il valore nominale o di rimborso».

Le circolari 28/E/2012 e 38/E/2013 sottolineano come tale valore debba essere pari:

  • o al valore di mercato, rilevato al termine del periodo d’imposta o al termine del periodo di detenzione nel luogo in cui esse sono detenute;
  • o al valore nominale, se le attività? finanziarie non sono negoziate in mercati regolamentati;
  • o al valore di rimborso, in mancanza del valore nominale;
  • o al costo d’acquisto, in mancanza del valore nominale e del valore di rimborso.

La nozione di mercati regolamentati è stata individuata dalla circolare 165 del 1998 : “Per quanto riguarda, invece, il riferimento ai mercati regolamentati si ricorda che tale previsione normativa e’ gia’ presente nel TUIR e precisamente negli articoli 9, comma 4, lett. c), 61, comma 3, e 66, comma 1-bis). In tale nozione vanno ricompresi non solo la borsa ed il mercato ristretto, ma ogni altro mercato disciplinato da disposizioni normative; più specificamente, si intende far riferimento ai mercati regolamentati di cui al decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415, nonché a quelli di Stati appartenenti all’OCSE, istituiti, organizzati e disciplinati da disposizioni adottate o approvate dalle competenti autorità in base alle leggi in vigore nello Stato in cui detti mercati hanno sede.“.

Le rilevazioni di prezzo delle criptovalute avvengono in luoghi che non costituiscono:

  • mercati regolamentati, fattore alla base del diniego della Securities and Exchange Commission (Sec)  alla creazione di Exchange Traded Fund (Etf) in criptoattività;
  • un sistema organizzato di negoziazione, avendo rilevazioni, con rilevanti variazioni, su piattaforme private che rilasciano informazioni relative al prezzo non validate e non verificabili.

Le criptovalute non hanno valore nominale e non hanno un valore di rimborso e conseguentemente l’unico criterio oggettivo è costituito dal costo sostenuto per l’acquisto delle stesse.

Pertanto, nelle ipotesi in cui sussiste l’obbligo di indicazione  delle valute virtuali nel quadro RW, il criterio del costo appare l’unico parametro coerente.

Non è stato chiarito se, nel caso delle valute virtuali, l’obbligo di monitoraggio non sussista per i wallet il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro, soglia prevista per i conti correnti e i depositi bancari detenuti all’estero.

Assimilando i wallet a depositi bancari, ai fini dichiarativi,  dovrebbero applicarsi gli stessi limiti di valore.

Di contro si potrebbe sostenere che l’acquisto di criptovalute sarebbe soggetto agli obblighi di monitoraggio anche se di valore inferiore ai 15mila euro (articolo 4, comma 3, Dl 167/1990) in quanto il suddetto limite si rivolge solo a «depositi e conti correnti bancari», mentre la Banca d’Italia (comunicazione del 30 gennaio 2015) ha affermato che le criptovalute non sono valute aventi corso legale (“Le Valute Virtuali  non sono moneta legale e non devono essere confuse con la moneta elettronica“).

(1) pp) titolare effettivo: la persona fisica o le persone fisiche, diverse dal cliente, nell’interesse della quale o delle quali, in ultima istanza, il rapporto continuativo e’ istaurato, la prestazione professionale e’ resa o l’operazione e’ eseguita

(2) Art. 20 (Criteri per la determinazione della titolarita’ effettiva
di clienti diversi dalle persone fisiche)
1. Il titolare effettivo di clienti diversi dalle persone fisiche coincide con la persona fisica o le persone fisiche cui, in ultima istanza, e’ attribuibile la proprieta’ diretta o indiretta dell’ente ovvero il relativo controllo.
2. Nel caso in cui il cliente sia una societa’ di capitali:
a) costituisce indicazione di proprieta’ diretta la titolarita’ di
una partecipazione superiore al 25 per cento del capitale del
cliente, detenuta da una persona fisica;
b) costituisce indicazione di proprieta’ indiretta la titolarita’
di una percentuale di partecipazioni superiore al 25 per cento del
capitale del cliente, posseduto per il tramite di societa’
controllate, societa’ fiduciarie o per interposta persona.
3. Nelle ipotesi in cui l’esame dell’assetto proprietario non
consenta di individuare in maniera univoca la persona fisica o le
persone fisiche cui e’ attribuibile la proprieta’ diretta o indiretta
dell’ente, il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le
persone fisiche cui, in ultima istanza, e’ attribuibile il controllo
del medesimo in forza:
a) del controllo della maggioranza dei voti esercitabili in
assemblea ordinaria;
b) del controllo di voti sufficienti per esercitare un’influenza
dominante in assemblea ordinaria;
c) dell’esistenza di particolari vincoli contrattuali che
consentano di esercitare un’influenza dominante.
4. Qualora l’applicazione dei criteri di cui ai precedenti commi
non consenta di individuare univocamente uno o piu’ titolari
effettivi, il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le
persone fisiche titolari di poteri di amministrazione o direzione
della societa’.
5. Nel caso in cui il cliente sia una persona giuridica privata, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n.
361, sono cumulativamente individuati, come titolari effettivi:
a) i fondatori, ove in vita;
b) i beneficiari, quando individuati o facilmente individuabili;
c) i titolari di funzioni di direzione e amministrazione.
6. I soggetti obbligati conservano traccia delle verifiche
effettuate ai fini dell’individuazione del titolare effettivo.

Ai sensi dellarticolo 5, comma 2, del D.L. 167/1990 la violazione dell’obbligo di dichiarazione di investimenti all’estero ovvero attivita’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. 

La violazione di cui sopra relativa alla detenzione di investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 (individuazione di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001 (individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui all’art. 127-bis, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi (cd. “black list”)), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 6 al 30 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. Nel caso in cui la dichiarazione prevista dall’articolo 4, comma 1, sia presentata entro novanta giorni dal termine, si applica la sanzione di euro 258.

Quindi qualora le attività estere di natura finanziaria siano detenute in “paradisi fiscali”, la sanzione è raddoppiata rispetto ai valori ordinari.

Nel caso di asset detenuti in paradisi fiscali opera la presunzione legale per la quale le somme detenute all’estero siano state costituite con redditi non assoggettati a tassazione in Italia; pertanto oltre a prevedere tali sanzioni, l’Agenzia delle Entrate potrà contestare le imposte evase su tali importi (comma 2, art. 12 D.L. n. 78/2009 (1)).

In tal caso, ai sensi dei commi 2-bis e 2-ter art. 12 D.L. n. 78/2009, sono raddoppiate le sanzioni ed i termini di accertamento.

(12. In deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attivita’ di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 10 maggio 1999, n. 107, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 novembre 2001, n. 273, senza tener conto delle limitazioni ivi previste, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. In tale caso, le sanzioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono raddoppiate.

2-bis. Per l’accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2, i termini di cui all’ articolo 43, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e all’ articolo 57, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono raddoppiati.

2-ter. Per le violazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’ articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni, riferite agli investimenti e alle attività di natura finanziaria di cui al comma 2, i termini di cui all’ articolo 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono raddoppiati.